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Judgmental Models: incorporiamo esperienza e intuizione nei modelli di marketing

Judgmental Models: incorporiamo esperienza e intuizione nei modelli di marketing

Foto di Brandon Green su Unsplash

La matematica offre il più brillante esempio di come la pura ragione possa con successo allargare il suo campo senza l’aiuto dell’esperienza” (Immanuel Kant)

Non è che Kant avesse tutti i torti (anche se magari ci dava che ci dava con l’alcol … ma la foto allude ad altro!), tanto è vero che Albert Einstein dimostrava a mani basse le sue teorie, dopo averle pensate, senza bisogno di fare esperimenti, ma quanti ce ne sono come Alberto?

Fra l’altro, quasi tutta la letteratura sui modelli e sui sistemi di supporto alle decisioni, a parte i testi classici di management science e ricerca operativa come quello di Montgomery & Urban (che è più che altro un testo di filosofia applicata, ora out of print) e il testo di Goodwin & Wright (v. oltre), è di taglio accademico e piena di astruse formule matematiche che, per poter essere applicate in pratica, richiedono, da una parte, la capacità del management di gestirle e interpretarle e, dall’altra, la disponibilità di dati attendibili ed esaustivi che possano alimentare i relativi algoritmi.

Quanto frequenti sono le condizioni appena dette?

Sicuramente lo sono nell’area delle operations (produzione e logistica) e spesso in quella della finanza, che sono prevalentemente gestite da tecnici assuefatti agli algoritmi di ottimizzazione e normalmente supportate da dati interni e/o oggettivi, relativamente facili da tenere sotto controllo, ma non possiamo dire la stessa cosa per le aree del management e del marketing.

Al di là del fatto che pochi manager hanno un background scientifico e quantitativo che consenta loro di sfruttare appieno la potenza della ricerca operativa, i dati che dovrebbero alimentare i relativi modelli (soprattutto quelli sul contesto esterno) sono spesso scarsi, poco affidabili e difficili da recuperare, con l’eccezione di quelli provenienti dalle campagne di marketing digitale, che tuttavia descrivono soltanto in parte le interazioni delle aziende con il loro mercato.

Ciò non vuol dire che non dobbiamo provare a superare questi ostacoli adottando approcci decisionali più sistematici e coerenti di quelli normalmente adottati dalla grande maggioranza delle aziende, quasi esclusivamente basati sull’esperienza, l’intuizione e le “sensazioni”: a maggior ragione in periodi difficili come quello che stiamo vivendo, aggravato da scarsità di risorse per il rilancio dell’economia e da crescente aggressività della concorrenza.

I judgmental models

Nei due articoli precedenti ho prima di tutto cercato di chiarire di quali modelli stiamo parlando e ho poi elencato una decina di vantaggi importanti del loro utilizzo, fornendo altrettanti esempi di applicazioni, sia pure molto sinteticamente.

Nell’ambito dei modelli di marketing, i judgmental models, i cui algoritmi sono in buona parte alimentati da input soggettivi e sono, per l’appunto, basati sulla capacità di giudizio e le valutazioni dei decisori, rappresentano un buon compromesso fra la complessità dei modelli matematici più sofisticati e le inevitabili approssimazioni degli approcci puramente “caserecci” e intuitivi.

In sostanza, aiutano a mettere ordine nelle esperienze e intuizioni dei decisori, distillandone e formalizzandone gli aspetti essenziali, soprattutto in termini di identificazione delle variabili rilevanti e di interpretazione dei rapporti causa-effetto che le collegano (mi viene in mente la metafora del distillato, cui allude la figura qui sopra).

Questi modelli meritano di andare più in dettaglio (rasentando l’approccio “nerd” di questi articoli) e sono tanto più utili quanto meno disponibili sono masse di dati attendibili ed esaustivi, tali da consentire conclusioni statisticamente significative, ad esempio ricorrendo all’uso di algoritmi di statistica multivariata come l’analisi fattoriale e il clustering, ma nulla impedisce di prendere comunque delle scorciatoie “a buon senso” anche quando siamo sommersi da dati di buona qualità come, per esempio, quelli prodotti dalle interazioni online del mercato con il nostro sito o con le nostre campagne social.

Un’applicazione molto diffusa di judgmental models

Una tipica applicazione di questi modelli, sicuramente alla portata di qualsiasi buon manager, recentemente utilizzata, sia pure con un po’ di assistenza, da centinaia di PMI (v. la figura qui sotto) e abbondantemente testata e adottata per decenni anche da grandi multinazionali (v., per esempio, G. Islei, G. Lockett, B. Cox & M. Stratford, A Decision Support System Using Judgmental Modeling: a case of R&D in the Pharmaceutical Industry, IEEE Transactions on Engineering Management, Vol. 38, N. 3, August 1991) è il cosiddetto approccio MCDM (Multi-Criteria Decision Making), finalizzato a classificare alternative decisionali in vista di specifici obiettivi.

Potenziali paesi di sbocco per un’azienda specifica in un dato settore di attività (elaborazione dell’autore)

Per esempio, valutazione della redditività stimata di grandi progetti di investimento alternativi (come nel caso descritto dall’amico Gerd Islei, mio ex supervisor in UK, nel paper sopra citato), stima dell’attrattività relativa di paesi esteri in vista dell’espansione internazionale delle aziende nei settori di interesse (v. figura) e, in generale, valutazione di alternative decisionali sulla base di molteplici criteri (nel caso sintetizzato in figura l’attrattività dei paesi dipendeva da un certo numero di parametri socio-economico-demografici e dall’entità delle importazioni nel settore di interesse, mentre il grado di accessibilità era la sintesi di svariate caratteristiche strategico-organizzative delle aziende in rapporto alle caratteristiche dei paesi):

  • viene assegnato un “voto” a ogni alternativa (ad esempio, su scala 0–10 o 0–100) con riferimento a ogni singolo criterio, soprattutto in assenza di dati oggettivi e misurabili come in molti progetti di investimento, oppure vengono standardizzati e indicizzati sulla stessa scala valori effettivi come quello del reddito pro-capite o della popolazione nel caso dell’attrattività dei paesi; i metodi adottati nell’assegnazione dei voti vanno dall’approccio “a occhio” ad approcci più sofisticati e rigorosi come nel caso del software JAS (Judgmental Analysis System) a suo tempo ideato da Gerd Islei o in quelli proposti da P. Goodwin & G. Wright in un ottimo testo utilizzato in varie business school (Decision Analysis for Management Judgment, Wiley, 2014)
  • i valori così ricavati vengono quindi “pesati” in funzione dell’importanza relativa dei criteri cui si riferiscono: anche i pesi possono essere assegnati semplicemente a buon senso, sulla base di eventuali esperienze e conoscenze pregresse e in funzione degli obiettivi e delle caratteristiche dell’azienda di interesse, oppure sistematizzando tali considerazioni con gli approcci più rigorosi proposti dalle fonti di cui sopra
  • infine, viene calcolata la media dei valori, ponderata in funzione dell’importanza dei diversi criteri, ottenendo quindi un unico indice rappresentativo del posizionamento relativo delle diverse alternative su uno o più fattori (nel grafico i fattori principali sono due, sugli assi X e Y, mentre il terzo è rappresentato da un’unica variabile).

Altre applicazioni possono essere leggermente più sofisticate ma ugualmente semplici in termini di tipo di algoritmi necessari, ed è facile realizzarle grazie ai fogli di calcolo come Excel.

Per esempio, come già accennato nel precedente articolo, nulla impedisce di identificare, usando il Risolutore, il prezzo ottimale di un prodotto o servizio, dato un certo numero di ipotesi sulla curva di domanda dell’azienda in uno specifico contesto competitivo (è la parte di judgment, che si traduce in una funzione matematica grazie al grafico che la rappresenta), purché l’utilizzatore definisca e quantifichi obiettivi e vincoli (ad esempio, un range di prezzo ragionevolmente contenuto in funzione della stima dei rapporti valore/prezzo delle offerte concorrenti, la probabile elasticità della domanda e il costo variabile unitario se si vuole massimizzare la contribuzione).

È soprattutto un problema di atteggiamento mentale, di capacità di formulare stime ragionevoli e sistematizzare il processo decisionale, anche in assenza di dati precisi ed esaustivi. Come già ribadito in altre occasioni, le decisioni vengono prese per il futuro: quando mai disponiamo di dati attendibili su eventi futuri?

Se proprio ci tenete, il libro di testo del mio vecchio corso di Strategia d’Impresa a Roma Tre (G. Gandellini, A. Pezzi & D. Venanzi, Strategy for Action, Vol. I & 2, Springer, 2012) è pieno di esempi di judgmental models, ma se fossi in voi mi farei i models miei, è molto più istruttivo!

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