Management Science e Data Analysis: l’importanza di un background umanistico

Foto di Pauline Loroy su Unsplash
Non preoccuparti delle tue difficoltà in matematica; posso assicurarti che le mie sono ancora maggiori. (Albert Einstein)
Questo post è per quelli di voi che, come me, sono stati così sfortunati da avere pessimi docenti di matematica al liceo, e hanno dovuto studiarla più seriamente all’università, quando era un po’ tardi per assorbire intimamente la logica e la filosofia di questa fondamentale disciplina.
D’altra parte, come dicono Montgomery & Urban nel loro testo su Management Science in Marketing (v. l’altro post sul tema, e quello dell’amico Alfonso sulla misurazione), chi si interessa di marketing non può più permettersi di rarely willing to accept or utilize quantitative techniques.
La buona notizia è che, stando a una ricerca condotta da Linkedin, i laureati in materie umanistiche trovano lavoro più rapidamente in professioni “tecniche” rispetto ai laureati in discipline tecniche.
Per non parlare del fatto che un terzo dei CEO delle prime 500 aziende censite da Fortune hanno un background umanistico (dato riportato dalla rivista Fast Company e citato, insieme a Linkedin, in un webinar organizzato da Tableau, con cui non ho, by the way, alcun conflitto di interesse!).
Parallelamente allo sviluppo delle analisi dei dati (cosiddette “analytics”), che stanno sempre più assumendo i connotati dell’arte più che della scienza, l’attenzione si sta spostando dalla semplice presentazione dei dati alla creazione di “storie” che li descrivono.
In prospettiva, i cruscotti di presentazione dei dati, tradizionalmente prodotti da addetti ai sistemi informativi, saranno sempre più concepiti e gestiti dagli stessi utilizzatori, che dovranno migliorare la loro capacità di interpretare i dati e di comunicarne i messaggi anche dal punto di vista qualitativo e narrativo.
In effetti, la maggiore difficoltà nell’interpretazione di tavole e grafici più o meno complessi è spesso quella di rispondere alla famosa domanda: So, what? Cosa ce ne facciamo di questa roba? Che conclusioni possiamo trarne? Quali decisioni prendere sulla base dei dati?
L’interpretazione dei dati è ora in qualche misura facilitata da due caratteristiche delle migliori piattaforme di Business Intelligence, classificate nel magic quadrant di Gartner in termini di completeness of vision e ability to execute:
- strumenti diagnostici basati su statistica multivariata, che aggiungono una specie di vera “intelligenza” ai tradizionali metodi di presentazione dei dati, senza richiedere agli utilizzatori capacità interpretative sofisticate
- capacità grafiche sempre più potenti, che consentono di comunicare i risultati in modo più creativo ed efficace.
Ma perché un background umanistico può facilitare l’analisi dei dati e contribuire a sviluppare capacità di business intelligence?
Stando a un interessante articolo di Carson Forter, che è diventato un noto data scientist dopo una laurea e un master in Classic and Classical Languages, Literatures, and Linguistics, gli studi umanistici facilitano lo sviluppo delle seguenti capacità, “che sono di maggior valore (e più rare) della conoscenza delle tecniche di qualsiasi metodo quantitativo”:
- approfondire qualsiasi tema “insegnandoti” qualsiasi cosa
- formulare domande di ricerca e supportare le risposte con l’evidenza dei fatti
- comunicare le limitazioni e le ipotesi alla base dell’approccio adottato.
Tuttavia, come Forter fa notare, una certa familiarità con conoscenze di base è necessaria per passare con successo da humanities a data science.
Se vi interessa, magari potremmo parlare di qualche conoscenza di base in futuri articoli.
Commenti recenti