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Marketing Models & Business Models: facciamo un po’ di chiarezza?

Marketing Models & Business Models: facciamo un po’ di chiarezza?

Foto di Johannes Plenio su Unsplash

All generalizations are false, including this one. (Mark Twain)

Nel management e nel marketing si parla spesso di modelli, ma raramente si fa riferimento agli stessi concetti o “costrutti”.

Per esempio, che differenza c’è fra business model e marketing model? Sicuramente non sono la stessa cosa, ed è forse bene cercar di chiarire di che cosa stiamo parlando, dato che le implicazioni concrete delle diverse accezioni del termine “model”, a seconda di come viene qualificato, sono diverse.

QUALCHE DEFINIZIONE, E DIVERSE ACCEZIONI

Credo convenga iniziare dalla definizione di “modellotout court: a parte l’accezione tipica del mondo della moda (meglio comunque LE modelle!) qui ci riferiamo, in senso lato, al mondo del business, in cui “modello” significa semplicemente un insieme di concetti legati da una qualsiasi logica, che suggerisce, descrive o prescrive linee guida e/o comportamenti normalmente finalizzati, in modo esplicito o implicito, a un obiettivo.

Qualificando i modelli con ulteriori sostantivi o aggettivi si va:

  • da semplici checklist come il famoso acronimo SWOT: le iniziali dei quattro sostantivi suggeriscono implicitamente di considerare le Strengths & Weaknesses di un’azienda o un’organizzazione in rapporto alle Opportunities & Threats del contesto in cui opera per impostare una strategia che ne tenga conto …
  • … a checklist più articolate e argomentate come quella del Business Model Canvas che, meglio di altre, propone di analizzare e prendere decisioni coerenti in nove aree descrittive del funzionamento aziendale, finalizzate alla creazione di valore per l’azienda e il mercato, possibilmente trovando soluzioni innovative rispetto a quelle adottate dalla concorrenza (v. qui una buona trattazione e alcune esemplificazioni del concetto di “business model”)
  • … a formule matematiche come questa Q = p² – 63p + 100 (dove Q sono le quantità e p il prezzo) che stima la curva di domanda di un dato prodotto, con l’obiettivo ad esempio di massimizzare la contribuzione C = (p -v) Q in funzione del costo variabile unitario v
  • … o addirittura a un insieme di formule matematiche come quelle per la stima del Customer Lifetime Value o a quelle graficamente sintetizzate dal ben noto (anche se soltanto a qualche migliaio di partecipanti ai nostri corsi worldwide) Engine of an Organization’s Wealth, che vedete nel grafico qui sotto.
Grafico aggiornato dall’autore (da precedenti versioni)

I MODELLI DI MARKETING

Credo che le vere discriminanti, che distinguono le checklist più o meno articolate dai veri e propri modelli di marketing siano proprio, per questi ultimi, la quantificazione delle variabili considerate e delle relazioni che le legano, o quanto meno la possibilità di farlo, con riferimento a specifici contesti prodotto/mercato, in vista del passaggio da obiettivi puramente descrittivi e qualitativi (per l’appunto, le checklist, anche se spesso supportate da argomentazioni che aiutano ad approfondirne la logica come nel Canvas) a obiettivi predittivi e spesso prescrittivi:

  • partendo dai valori delle variabili di input (esogeni o inseriti come stime o scelte decisionali) quali potrebbero essere i risultati in termini di output?
  • date queste previsioni o proiezioni, quali potrebbero essere le decisioni più promettenti?

Tento quindi una definizione sufficientemente compatta di modelli di marketing che tenga conto di quanto sopra, rinviando al prossimo articolo l’analisi dei numerosi vantaggi di questi modelli:

Rappresentazioni astratte, ma in termini realistici e coerenti, normalmente tradotte o traducibili in algoritmi matematico-statistici, della natura delle relazioni causa-effetto fra variabili rilevanti che condizionano i risultati economici e di mercato all’interno di ben definiti incroci prodotto/mercato, al fine di facilitare stime e proiezioni del loro comportamento futuro, consentendo quindi il miglioramento dei processi decisionali.

COSA “NON” SONO I MODELLI DI MARKETING

Può anche essere utile vedere due o tre esempi di cosa NON sono i modelli di marketing, anche se talvolta spacciati come tali:

  1. Troviamo il modello SWOT che abbiamo citato sopra praticamente in tutti i libri di marketing strategico: al di là della commonsensical ragionevolezza e dell’intelligente semplicità di considerare i quattro fattori in vista della formulazione di una strategia, quasi mai si vedono linee guida e raccomandazioni esplicite a: a) distinguere i diversi contesti di business in cui opera l’azienda, che meriterebbero analisi SWOT ad hoc, prima di sintetizzarle in un unico quadro SWOT riferito all’azienda nel suo complesso; b) collegare l’analisi di singole S & W e/o di singole O & T a specifiche linee d’azione: ad esempio una specifica O da cogliere o una T da contrastare grazie a una specifica S, una W da colmare grazie a una specifica O.
  2. Ci sono poi i modelli di marketing “finti”, come quello che ha la pretesa di supportare la formulazione di strategie di prezzo e ha le parvenze di un modello vero, proposto da due autori che insegnano addirittura ad Harvard e dintorni, ma ve ne parlo altrove.
  3. Un altro modello “finto” è quello che vedete qui sotto, proposto dagli autori del famoso bestseller Blue Ocean Strategy, che descrivono ad esempio la presunta strategia di Yellow Tail (un vino venduto soprattutto negli USA) distinguendola dalla strategia “media” di potenziali concorrenti con la cosiddetta “curva del valore”, che collega gli apparenti livelli relativi di “investimento” dei diversi player in un certo numero di fattori (alcuni totalmente inventati).
Adattato dall’autore da un grafico di Chan Kim e Renée Mauborgne nel loro libro su Blue Ocean

Per quanto riguarda il primo tipo di “non modello di marketing”, e a parte ovviamente il taglio puramente qualitativo delle analisi proposte, la cui coerenza è soltanto implicitamente suggerita, manca quindi sia il richiamo alla necessaria contestualizzazione delle analisi stesse che quello all’individuazione di esplicite relazioni fra i diversi fattori in ottica interpretativa e prescrittiva: il tutto è lasciato all’intelligenza, al buon senso e all’esperienza del decisore.

Per quanto riguarda Blue Ocean, pure loro (gli autori) sponsorizzati da Harvard, ci sarebbe invece molto da dire, ma magari ne parleremo un’altra volta. Per ora segnalo soltanto che il modello della “curva del valore” sopra visto è puramente descrittivo ed esemplificativo, ex post, della percezione degli autori con riferimento a un aggregato prodotto/mercato molto ampio e disomogeneo (il settore del vino negli USA) e non ha nulla di predittivo o prescrittivo, né peraltro la scala dei “livelli di investimento” ha qualche attinenza con valori reali (anche eventualmente standardizzandoli ed esplicitando le scale di partenza dei diversi fattori) e quindi non si presterebbe ad alcuna elaborazione quantitativa sensata.

A quanto pare, sembra che spacciare modelli di puro buon senso come lo SWOT senza preoccuparsi di approfondirne i risvolti o, nel terzo esempio di non-modello, descrivere creativamente il passato fingendo che serva per guidare le scelte future e ignorando totalmente le più elementari esigenze di quantificazione, serva a diventare famosi, soprattutto se si è sponsorizzati da prestigiosi enti accademici e si è molto abili a inventare neologismi per vecchi concetti impacchettando vari ingredienti e manipolando milioni di lettori con titoli e sottotitoli accattivanti e “commerciali” (anche se spudoratamente non rispondenti al vero) come questo: Blue Ocean Strategy: How to Create Uncontested Market Spaces and Make the Competition Irrelevant.

Noi siamo “purtroppo!” convinti che il Marketing Mindset non abbia nulla a che fare con la manipolazione e, da buoni masochisti, insistiamo a ragionare sui “veri” modelli di marketing.

Il risvolto positivo è che probabilmente evitiamo il rischio di sputtanarci worldwide come nel caso del secondo esempio di non-modello sopra citato, ma, ora che ci penso, con tutti questi social addicts che imperversano everywhere, non è mica detto!

Fortunatamente, ci sono esempi, anche se rari, di come si possa diventare famosi nel marketing anche senza manipolare. Proprio Philip Kotler, che tutti noi apprezziamo fin da piccoli, aveva scritto nel 1991, insieme all’altro ben noto guru dei modelli di marketing Gary L. Lilien e a K. Sridhar Moorthy, Marketing Models (a Natale 2020 ce n’erano ancora due copie left in stock su Amazon).

IN CONCLUSIONE

Ci sono quindi modelli e modelli. Qui ho focalizzato l’attenzione soprattutto sui modelli di marketing, ma è ovvio che meriterebbero almeno altrettanta attenzione i modelli di business, che tuttavia, limitandosi a descrivere in modo qualitativo e discorsivo la  “logica” di come si genera ricchezza, sono difficilmente formalizzabili, cristallizzabili e condivisibili con specifici algoritmi.

In ogni caso, qualsiasi sia il modello di business adottato, ossia quali che siano, ad esempio, i contenuti delle nove aree di interesse proposte dal Business Model Canvas e i loro collegamenti logici, se vogliamo capire come funzionano tali collegamenti e quali siano gli effettivi rapporti causa-effetto fra le variabili rilevanti per l’ottenimento di risultati, i modelli di marketing ci saranno sicuramente di grande aiuto.

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