Il bisogno urgente di “data literacy”

Se l’ignoranza fosse un piacere, molti di noi (compreso il sottoscritto) sarebbero multi-orgasmici. (Anonimo)
Leggendo l’articolo dell’amico Alfonso su “Conoscere il valore”, che ribadisce l’importanza di identificare e distinguere “buyer personas” (la moderna evoluzione del concetto di segmentazione) e la loro “customer journey”, per poter creare e intrattenere con i clienti relazioni mirate in funzione dei loro specifici bisogni e del valore da essi atteso, mi sono venute in mente esperienze contrastanti:
- da una parte, i tanti casi di segmentazione prodotto/mercato, dai motoriduttori sul mercato tedesco ai servizi di supporto all’internazionalizzazione delle PMI italiane, in cui peraltro adottavamo un approccio top-down, partendo dal mercato e “tagliuzzandolo” in un certo numero di aggregati omogenei e diversi uno dall’altro, anziché partendo dal basso e descrivendo profili “tipo” di clientela e i loro percorsi di avvicinamento all’acquisto e alla fruizione di prodotti e servizi, cosa attualmente sempre più realizzabile grazie soprattutto al digitale
- dall’altra, i casi altrettanto numerosi in cui riscontravamo, fra gli imprenditori e i manager partecipanti ai nostri corsi o nostri interlocutori in progetti di consulenza, la diffusa presenza della tristemente nota sindrome del “‘ndo cojo cojo”, ossia della quasi totale mancanza di approcci selettivi allo sviluppo delle relazioni con il mercato, vissute soprattutto come un insieme di transazioni prodotte da politiche di vendita e comunicazione sostanzialmente indifferenziate.
Ora, i casi in cui è appropriato l’utilizzo di strumenti relativamente sofisticati come la statistica multivariata per raccapezzarsi fra migliaia di dati descrittivi della clientela, o comunque fra dati di difficile interpretazione (come nelle esperienze sopra citate) non sono molto numerosi, ma credo si sia tutti d’accordo sul fatto che la sindrome appena citata non ha alcun senso e che, per poter adottare approcci selettivi, focalizzando risorse, messaggi e comportamenti appropriati sui target più promettenti, è necessario disporre di dati e informazioni rilevanti, sapendoli poi elaborare e interpretare.
Queste considerazioni sembrano ovvie, ma è incredibile constatare quante aziende, ancora oggi e nonostante l’esplosione delle tecnologie digitali e degli strumenti di trattamento e analisi dei dati:
- non si preoccupano di identificare e raccogliere dati critici sulle caratteristiche dei propri clienti, almeno per classificarli non soltanto in base al fatturato (v. anche “Oltre l’analisi ABC”)
- non registrano le informazioni chiave in supporti (come ad esempio il CRM) che consentano di elaborare e analizzare non soltanto i dati anagrafici ed economici, ma anche informazioni di carattere più qualitativo come il tipo e il contenuto delle interazioni con la clientela
- … e ovviamente non si preoccupano di supportare i propri processi decisionali con strumenti diagnostico-predittivi alimentati dai dati e dalle informazioni di cui sopra: dai più semplici modelli “caserecci” su fogli di calcolo ai più evoluti (ma accessibili) sistemi di business intelligence.
Lascio le conclusioni (almeno per ora) a Tom Redman, uno dei più autorevoli esperti di data analytics: There are fewer and fewer places for the “data illiterate” and, in my humble opinion, no more excuses.
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