Valore e prezzo: attenti ai bidoni!

Foto Getty Images
… che arrivano persino da Harvard!
A quanto pare, la fregola di vendere ad ogni costo, da parte di gente che ha apparentemente più tempo libero a causa dei lockdown, ha colpito anche loro.
Mi è venuto in mente di riesumare e riassumere quanto avevo scritto in un altro articolo di questo blog, grazie all’ottimo e recente articolo di Alfonso Pace su valore e prezzo: in particolare, vi vorrei mettere in guardia dalle percezioni di valore che possono derivare dalla reputazione di chi vi propone un qualsiasi prodotto, indipendentemente dal (o addirittura “contrariamente” al) valore effettivamente offerto.
Fra l’altro, l’esempio che citerò riguarda direttamente il tema del prezzo, che è un po’ un mio pallino (v. anche la serie su “Come sbagliare i prezzi …”).
Sono un cliente della Harvard Business Review da molti anni e, fin dai tempi delle mie frequentazioni di Harvard a Cambridge, ho sempre apprezzato la loro produzione di corsi, libri, articoli, video, e chi più ne ha più ne metta.
Raramente ho quindi avuto da ridire sulla qualità dei loro contributi, ma questa volta devo proprio segnalare una loro “caduta di stile” (per stare leggeri …) e mettervi in guardia dall’acquistare materiale prodotto da più o meno rinomati guru che si fregiano di prestigiose etichette come quella, in questo caso, di Harvard: giusto per non far dei nomi, state alla larga da Thomas Steenburgh (della Darden School of Business) e Jill Avery (che insegna proprio ad Harvard).
Dato che ho sviluppato modelli di supporto alle decisioni sul pricing, in buona parte in Excel, avevo acquistato dalla HBR, ovviamente per avere presunti contributi intelligenti, HBR Tool for Pricing for Profit, una specie di “tool” in Excel (concepito dai suddetti) che avrebbe la pretesa di enable you to price products or services to maximize profits!
È raro leggere e provare a ispirarsi a tante cazz… in un colpo solo, scritte e messe su Excel da gente che dovrebbe pensarci almeno due volte prima di sputtanare il proprio nome e quello dell’organizzazione di appartenenza:
- Prima di tutto, questi autori ripetono il classico e diffuso errore logico di definire il valore in termini di prezzo (tipico riferimento circolare nello stimare il rapporto valore/prezzo, che è quello che conta agli occhi del mercato!). In molti business, il livello di prezzo può contribuire alla percezione di valore (anche se non è il caso del tool in esame), ma il valore complessivo percepito dipende da molti altri fattori (v. l’articolo sopra citato) e può essere misurato o almeno stimato indipendentemente.
- Gli autori propongono i “costi variabili” (fra l’altro, senza precisare che si riferiscono al costo unitario!) come livello di prezzo minimo da cui partire. È vero che, in rari casi, le aziende possono decidere di perdere soldi su alcuni prodotti per farne di più su altri strettamente collegati ai “perdenti” (ad esempio, lame e rasoi Gillette), ma se l’obiettivo è “pricing for profit” partire dal costo variabile unitario è un totale nonsenso.
- Gli autori suggeriscono di usare “up to five competitors’ prices to determine the price range that reflects your product’s relative value” (ancora, valore definito in termini di prezzo), e addirittura di identificare i prezzi di prodotti sostitutivi (!), senza allertare l’utilizzatore del tool sul rischio di far riferimento a diversi segmenti di mercato. Nel loro modello in Excel non c’è alcuna indicazione sull’importanza di delimitare un intervallo di prezzo min-max relativamente contenuto: oltre un intervallo “ragionevole” (per esempio, sia pure come regola “spannometrica”, un prezzo massimo che non superi il prezzo minimo di più del 50%) è molto probabile che si stiano confrontando mele con pere.
- Il loro modello in Excel produce un grafico in cui le quantità sono sull’asse delle X e i prezzi su quello delle Y, e ciò impedisce di trovare la “vera” curva di domanda, in cui, ovviamente, le quantità dipendono dal prezzo, e non viceversa (non stiamo parlando di commodities!). Inoltre, non vi sono indicazioni su come trovare tale funzione e misurare l’elasticità della domanda a vari livelli di prezzo (facilmente fattibile con Excel), né si fa cenno alla possibilità di utilizzare il Risolutore di Excel per massimizzare la contribuzione, data una specifica funzione di domanda (e, soprattutto, dato l’obiettivo esplicito di questo tool!).
- Infine (e mi sembra che basti!) nei testi che dovrebbero “spiegare” il modello in Excel vi sono altre omissioni e imprecisioni, come la totale mancanza di argomentazione dell’importanza critica dei concetti di contribuzione unitaria e totale, neppure citati nello scarno glossario. Questi sono i veri trigger della redditività, mentre il calcolo del profitto, dopo aver sottratto i costi fissi come nel modello proposto dagli autori, può essere completamente inappropriato, dato che stiamo parlando del prezzo di uno specifico prodotto o servizio nel contesto di uno specifico contesto di mercato, e non del “portafoglio” di prodotti complessivo dell’azienda: che senso ha parlare di profit?
Pensate quanti manager e studenti, non sufficientemente ferrati sul tema, possono ingenuamente farsi abbagliare dall’etichetta di Harvard e magari utilizzare il tool prendendo decisioni sbagliate: a parte il costo più che abbordabile del tool (anche se spropositato rispetto al valore: 39 dollari, comunque buttati), qui siamo nel campo della truffa con possibili danni collaterali!
Commenti recenti