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Uomini (e donne!)

Uomini (e donne!)

Foto di Mimi Thian su Unsplash

L’uomo e la donna consistono di due parti, la mente e il corpo. Solo che il corpo si diverte di più. (adattato da Woody Allen)

Nella vita è tutta una questione di culo: o ce l’hai o te lo fanno! (Francesca Reggiani)

Non ho ancora trovato citazioni divertenti che si riferiscano al comportamento manageriale di uomini e donne e al loro fondamentale ruolo nelle organizzazioni, ma in questa seconda e ultima puntata della storiella sul “copione” Michael Porter (v. Culo) vedremo finalmente le tre “dimensioni” del mio sofisticato modello che cerca di spiegare il comportamento della variabile “culo”, intesa in almeno due accezioni, e vedremo che due di queste dimensioni (per non parlare della quarta, non ancora sufficientemente investigata ma sempre in agguato) si riferiscono proprio alla seconda accezione, in cui il comportamento dei manager (uomini e donne) è fondamentale.

La prospettiva individuale e tridimensionale

È proprio con riferimento al management che, modestamente, il modello da me proposto fornisce un contributo che non esiterei a definire essenziale, soprattutto in una prospettiva individuale (peraltro estendibile a livello di aziende e di nazioni), ed è qui che si dimostra come la scelta della terminologia appropriata si riveli indispensabile.

Come ben sapete, il termine “culo”, in italiano, è ricco di svariati e variopinti significati, e proprio grazie a tale eclettismo semantico può essere interpretato in almeno due accezioni e prestarsi a rappresentare, opportunamente contestualizzato, almeno tre dimensioni rilevanti nella vita del manager:

  • ce l’ho (ossia, ho più o meno fortuna, sono nato o meno con la camicia, ecc.): questa è sicuramente una variabile indipendente ed esogena, alla stregua del fattore chance di Porter (anche se, volendo guardare, chance ha un significato più neutro: vorrà dire che considereremo la fortuna come estremo positivo di un’unica dimensione, lungo la quale un basso livello di casualità favorevole sarà interpretabile come “sfiga”)
  • me lo fo (ossia, mi faccio più o meno un “mazzo” così, insomma mi dò più o meno da fare: lavoro di brutto, mi aggiorno, ecc.): anche questa, nel modello che vi propongo, è una variabile indipendente, con la differenza che è più o meno sotto il nostro controllo
  • lo fo (ossia, ottengo dei risultati, sostanzialmente a scapito dei miei concorrenti): è vero, questa denominazione, che individua la variabile i cui valori dipendono dalle altre, non è molto elegante, ma ammetterete che esprime bene il concetto.

In pratica, potrei rappresentare queste variabili in uno spazio a tre dimensioni con una funzione del tipo Z=XY; ne verrebbe fuori la ben nota (a me e a pochissimi intimi!) “iperboloide del c…”:

Fonte misteriosa, ma sintesi appropriata!

Capisco tuttavia la vostra perplessità. Non è facile, così, sui due piedi, interpretare la pregnanza concettuale di tale rappresentazione: mica per niente io ho messo degli anni per arrivare a un simile livello di sintesi!

In conclusione

Proviamo quindi con il grafico che segue: le curve di indifferenza (ricavate con funzioni del tipo Y=aX-1) rappresentano diversi livelli di risultati (“lo fo”) ottenibili con combinazioni alternative di “ce l’ho” e “me lo fo” : è chiaro che, se il signor A “non ne ha un granché” ma, per esempio, si deve accontentare di una fortuna media del 40% (intendiamoci, non è poi che sia così male!), per migliorare i propri risultati dal 20 al 25% deve “farselo” per circa il 60%, mentre un suo collega B molto più fortunato (diciamo, il doppio) potrebbe raggiungere il medesimo livello di risultati lavorando all’incirca la metà.

Elaborazione dell’autore

Scommetto che, intuitivamente, sapevate già benissimo che la vita di tutti noi va esattamente così, ma ammetterete che, messa in modo così rigoroso (altro che Porter, che disegna un cerchietto e gli scrive dentro “chance”!), è tutta un’altra cosa: almeno ce ne facciamo una ragione!

Soltanto un piccolo problema: mentre è relativamente agevole misurare gli impieghi di risorse (eufemismo per “me lo fo”) e i risultati ottenuti, non è così banale trovare la cosiddetta operational definition (ossia, un criterio e una scala di misurazione) di “ce l’ho”. Ci sto lavorando, ma saranno molto graditi vostri suggerimenti e contributi scientifici.

Non solo, sarebbe interessante esplorare una quarta dimensione, che peraltro potrebbe essere, almeno in parte, inversamente correlata a “me lo fo” … soprattutto se non ce lo facciamo abbastanza: “me lo fanno”! Ma per questa volta fermiamoci qui, non vorrei suscitare l’invidia di Porter e indurlo a produrre altri modelli per rappresaglia…

POSTILLA

Per inciso, questo è il settimo di una serie di 8 post che, nelle mie intenzioni e in quelle degli amici e colleghi Alfonso Pace e Virgilio Gay (ne hanno scritti infatti altrettanti: i link vi mandano alle loro rispettive versioni di questo post) dovevano – e ancora dovrebbero – anticipare una nuova edizione dell’ormai attempato testo, attualmente out of print, richiamato in questa foto.