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Culo (Casualità)

Culo (Casualità)

La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo — e spesso prende anche la mira. (Roberto “Freak” Antoni)

In amore ci vuole fortuna e comunque anche un bel culo non guasta. (Fabio Fazio)

Ho messo “casualità” fra parentesi perché mi sembra un termine molto asettico, mentre “culo” rende bene l’idea, e persino Fazio, di solito così compassato, dice pane al pane, anche se in un’altra (pregevole) accezione.

In questi tempi di pandemia non è che ci sia tanto da ridere, anzi, dovrei magari cambiare il titolo di questo post in “sfiga”, ma proviamo a sdrammatizzare, in attesa di tempi migliori che tutti noi ci auguriamo tornino presto.

Venendo quindi al tema di cui sopra, bisogna proprio che vi riporti, questa volta in due puntate, la mia fondamentale teoria sulle tre “dimensioni” del culo (in senso matematico) e su come tali dimensioni influenzino pesantemente il successo e il raggiungimento di risultati.

Avevo descritto la teoria in una delle storielle della vecchia edizione di Perfectum (Diamonds & chance: come, quando e perché sono stato “copiato” da Michel Porter!) e speravo che nel frattempo qualcun altro contribuisse a migliorarla sistematizzando con opportuni algoritmi l’inserimento della quarta dimensione, cui avevo soltanto accennato di sfuggita.

Vi ripropongo quindi la teoria, e questa volta spero proprio in vostri contributi migliorativi.

Un po’ di storia

Nel lontano 1988 (proprio in concomitanza con l’inizio del mio incarico quadriennale di docenza in California … bei tempi!), avevo scritto la prima bozza dell’ormai famoso (si fa per dire … mai pubblicato!) booklet “I 77 concetti chiave del marketing e delle vita aziendale”, successivamente migliorato e integrato dai miei coautori per poi diventare il libro del 2007 con 99 concetti.

Lasciamo perdere il fatto che Philip Kotler aveva pensato bene di “copiarmi” scrivendo, quindici anni dopo, “Marketing Insights from A to Z: 80 Concepts Every Manager Needs to Know”, John Wiley & Sons, 2003 (mica stupido: ne aveva aggiunti 3 per non farsi scoprire! ma proprio perché era lui, e soprattutto perché lo stupido ero io a non pubblicare mai un tubo in inglese, non gli avevo fatto causa!), e veniamo al dunque.

Uno dei miei concetti “chiave” era, con rispetto parlando, il cosiddetto “culo” (le signore mi perdoneranno il linguaggio leggermente sboccato, ma l’esegesi storica non può arretrare di fronte ai fatti!), che d’ora in poi cercherò il più possibile di chiamare “chance”, sia per non eccedere in scurrilità sia, soprattutto, perché è così che lo chiama un altro esimio e famosissimo guru del management: nientepopodimeno che Michael M. Porter!

Voi non ci crederete, ma anche Michael mi aveva sgangheratamente “copiato” (stesso discorso di cui sopra per quanto riguarda l’adire a vie legali), scrivendo uno dei suoi fondamentali tomi (The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, 1990: 738 pagine, appendici escluse), in cui, come vedremo ben tosto, identificava nel fattore chance una delle principali variabili che possono condizionare il successo, addirittura, delle nazioni!

Data l’evidente importanza del tema, ho pensato di condividere con voi le mie profonde riflessioni su un modello interpretativo sviluppato in anni di studi e ricerche: mi direte voi se valga la pena pubblicarne le conclusioni worldwide (così almeno, se mi copiano ancora, la causa gliela faccio proprio!).

Ma perché — dirà il solito grillo parlante — al posto di “c…” e/o di “chance” non usare il termine italiano “fortuna”? …sarebbe banale e inappropriato, e la ragione vi sarà evidente alla lettura di quanto segue.

Il “diamante” di Porter

Non entrerò nei dettagli, ma è doveroso a questo punto riportare il modello cosiddetto del “diamante” proposto da Michael nel testo appena menzionato per descrivere graficamente i principali fattori che condizionano il successo o l’insuccesso delle nazioni.

Come vedete dalla figura che segue, il fattore chance (ossia, il caso, che può quindi avere impatto favorevole o sfavorevole), che Porter esemplifica citando possibili decisioni politiche di altri Paesi, guerre, cataclismi vari (la pandemia sarebbe stato un esempio calzante), importanti “discontinuities” tecnologiche o finanziarie, ecc. condiziona i quattro fattori strutturali ed “endogeni” descritti nel nucleo centrale del diamante: in particolare, avrete subito capito che, sotto l’etichetta “firm strategy, structure and rivalry”, si nasconde in buona parte l’altro famoso modello di Porter, su cui non mi dilungo.

Riprod. dall’autore da Michael Porter, The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, 1990, Pag. 126

Noterete anche che, mentre l’altro fattore esogeno rappresentato dall’azione del government è collegato ai fattori strutturali da frecce bidirezionali (vale a dire che vi è influenza reciproca), il fattore chance opera, ovviamente, in un’unica direzione: ossia, non ci sono santi (Porter direbbe “there are no saints!”), non è che si possa intervenire modificandone la natura o il comportamento. Fra l’altro, nello schema qui sopra manca una freccia tratteggiata aggiuntiva, dato che il fattore chance influenza sicuramente anche il comportamento dei governi, ma Michael può permettersi questo e altro!

Se, comunque, il caso è così importante nella vita delle nazioni e, in particolare, nell’evoluzione dei fattori produttivi, della domanda di mercato e delle aziende, figuriamoci se non lo è nelle vicende degli individui e, in particolare, dei manager! [per vedere il mio sofisticato modello ad hoc, dovete saltare la sequenza di questa serie – v. sotto – andando direttamente a Uomini (e donne!)]

POSTILLA

Per inciso, questo è il quinto di una serie di 8 post che, nelle mie intenzioni e in quelle degli amici e colleghi Alfonso Pace e Virgilio Gay (ne hanno scritti infatti altrettanti: i link vi mandano alle loro rispettive versioni di questo post) dovevano – e ancora dovrebbero – anticipare una nuova edizione dell’ormai attempato testo, attualmente out of print (anche se tuttora apparentemente disponibile, v. sopra), richiamato in questa foto.